Santa Giulia Omelia della Festa di SANTA GIULIA Patrona di Livorno 2002
tenuta in Cattedrale da S.E. Rev.ma Mons. DIEGO COLETTI, Vescovo di Livorno
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OMELIA ALLA FESTA DI SANTA GIULIA
Patrona di Livorno, 22 maggio 2002

Oggi ci troviamo esattamente a quattro secoli di distanza da quando, nel 1602, fu posta la prima pietra della qui attigua chiesa di santa Giulia.
Da quattrocento anni, quindi, in forma particolarmente solenne il nome della piccola martire crocifissa è invocato in questo luogo per intercedere protezione e grazia divina sulla città e i suoi abitanti.
Chi è S. Giulia? Ci piace pensarla come una donna normale, addirittura gravata da uno stato di schiavitù, secondo l'anagrafe del tempo, una donna cristiana fedele fino alla fine e nonostante tutto, per mostrare come la verità della vita umana si radica e si esprime ad un livello molto più profondo della possibilità di fare quello che ci piace, della possibilità di essere esteriormente indipendenti. Si può essere veramente liberi anche in stato di schiavitù e si può essere anche schiavi se si è in stato libero.

Quale fede per un cristiano

Il martire cristiano non è un kamikaze, non cerca la morte, né di altri e neppure la propria. Il martire cristiano desidera solo affermare la fedeltà ad alcuni valori che nascondono in lui dall'incontro con Cristo e dalla fede nella sua Parola.
Restando fedele a questi valori, costi quello che costi; restando fedele alle promesse fatte a lui e alla sua Chiesa fino alla morte, se è necessario. In questo senso il sacrificio del martire cristiano è un seme di vita nuova e porta molto frutto, anche per noi, anche per questa città. È importante avere qualcosa per cui valga la pena di vivere e, quindi, valga anche la pena di morire, se necessario. Questo messaggio va raccolto, da noi oggi che viviamo in una situazione ambientale e culturale che inclina piuttosto a relativizzare ogni convinzione, a spegnere ogni entusiasmo di alto profilo e di lunga gittata, ad evitare ogni impegno solenne e definitivo; anzi: a considerare alle volte più coraggioso e coerente il sottrarsi a questi impegni piuttosto che conservarli. Una cultura che invita a tenere il cuore e la vita, sgombri e vuoti da ogni contenuto esigente.
La questione decisiva è l'incontro con Cristo e la scelta di amore per lui, una vera e grande passione per il Signore, come ci ha detto il vangelo che abbiamo ascoltato: "Chi vuol venire dietro di me mi deve seguire prendendo la sua croce ogni giorno". Questo discorso, sempre difficile da accettare, oggi lo diventa in modo particolare, perché la cultura dominante spinge a scelte di più basso profilo, nelle quali nulla è mai definitivo, anzi sconsiglia scelte fatte una volta per tutte, per la vita, degne di dedizione assoluta.

Prede della cultura moderna

Siamo continuamente invitati da una specie di cultura effusa e dominante, a ridurre la verità ad opinione personale, a calcolare il bene rigorosamente in termine di utile mio. La bellezza è ciò che mi eccita in modo immediato e gratificante; la relazione tra persone, che dovrebbe avere il suo culmine in ciò che in tutte le lingue si esprime con gli equivalenti della parola amore, è ricondotta a un supporto tutto calcolato sulla reciproca soddisfazione e sull'individuale principio del "mi conviene" o del "ci sto bene".
In questo modo di pensare e vivere tutto diventa fragile e intercambiabile, provvisorio e soggettivo. E sembra che questo nell'immediato realizzi un guadagno, un buon metodo per scaricare l'ansia, per evitare le gabbie della nevrosi; mentre, invece, a ben vedere il risultato appare contrario: ci si ritrova ben presto in una buia solitudine e si è costretti a riempire il vuoto, così determinatosi nella vita, con valori surrogati ed effimeri. E mentre da un lato si registrano delusioni e scontentezze, dall'altro il bisogno di sensazioni forti, e sempre più forti che diano l'impressione di un qualche riempimento della vita.
Restano, certo, all'orizzonte, alcuni grandi, valori che vengono proclamati: la pace, la giustizia, la salvaguardia del creato e della natura, l'amicizia, la tolleranza. Ma tutto sembra, per così dire, alleggerito e svuotato di contenuti forti, impegnativi, capaci di far appello a investimenti stabili e prolungati di energia della mente e del cuore. Il discorso qui si farebbe lungo se volesse essere fondato e giustificato in tutti i suoi passaggi.
Ma forse basta per la nostra riflessione di questa sera, qualche fugace esempio.
Mi pare che alcune conseguenze pericolose di questo modo di pensare che rifiuta il martirio e che rende insignificante e perfino risibile o sospetta, la testimonianza alta e liberante di una fedeltà assoluta, possono essere riassunte in tre parole: ignoranza, ansia e istintività.

L'ignoranza

La prima parola è ignoranza, intesa nel suo stretto significato etimologico: non sapere. Non si affronta la fatica di capire, di dialogare, di domandare, di approfondire. Ci si limita a intuire vagamente, a gridare, a litigare, a insultarsi a vicenda. Se volessimo fare qualche esempio potremmo chiederci cosa diventano, troppo spesso, la passione e la competizione sportiva, il confronto e il dibattito politico, la manifestazione del dissenso, la relazione tra culture e popoli e religioni diversa.
Perché chiamo tutto questo ignoranza? Perché al fondo di tutto questo trovo una grave pigrizia della mente, il rifiuto della fatica del pensare, dell'argomentare giacché ci si è persuasi che la verità non esiste, che tutto è solo opinione soggettiva e, quindi, ciò che conta non è cercare pazientemente e voler capire, ma gridare più forte, e conquistare senza troppi scrupoli quote di potere.
E vorrei qui solo ricordare la felice intuizione di uno scrittore francese del secolo scorso che diceva che l'ignorante è molto più pericoloso del malvagio, perché il malvagio, almeno ogni tanto, si riposa.

L'ansia

La seconda parola è ansia. La leggerezza volatile dei valori e dei grandi significati, capaci di dare peso adeguato allo spessore della vita, se dapprima sembra aver liberato l'umanità da antiche paure, in realtà, finisce ben presto per produrne di nuove e peggiori. Possiamo qui parafrasare il titolo di un romanzo di successo di qualche anno fa: l'essere diventato leggero si fa insopportabile. È sotto gli occhi di tutti il diffondersi dell'ansia e lo scatenarsi qualche volta orrendo del suo esito più pericoloso che è la depressione con tutte le sue conseguenze.
Si dice: certe cose ci sono sempre state e, forse, prima era anche peggio. Il fatto è che ora vengono amplificate dai mass-media e sembrano dilagare.
Non sono di questo parere. Sarebbe interessante un confronto serio su questa ipotesi di degrado della salute non solo psicologica o mentale, ma più generalmente umana, della persona assediata dall'ansia, priva di un centro di gravitazione capace di dare senso stabile e rassicurante alla vita.
Tanto più che al volante della vita non c'è la sapienza, la moderazione e la lungimiranza serena dell'amore vero, non c'è il fiducioso abbandono al senso positivo della Provvidenza di un Dio che muore per te. Al volante della vita c'è l'affanno insaziabile della voglia incontrollata, dilagante dell'appagamento istintuale.

L'istintività

La terza parola è istintività. Intesa in tutte le sue forme e in tutti i suoi appetiti: quello sessuale, anzitutto, ma anche l'istinto del potere, l'istinto del possesso, del successo e della fama, del benessere, dell'autonomia radicale e assoluta che non è un'esaltazione della libertà, ma la sua tragica e disumana caricatura. Tutto questo tende a diventare il padrone della vita. Ed è un padrone mai contento e sempre più esigente. Sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e di più eccitante. Tanto più esigente e tanto più carico di pretese, quanto più profondo è il vuoto lasciato nel cuore e nella vita dall'assenza di ciò per cui siamo stati creati: "Ci hai fatto per te - dice il grande Agostino di Ippona - e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te".
Non voglio fermarmi sulle conseguenze di questo spadroneggiamento degli istinti in tutte le sue forme, ma credo che un cenno vada fatto a fenomeni come il dilagare della prostituzione, che è un problema grave prima per i clienti, che per quelle povere ragazze che ci sono invischiate; il dilagare della mercificazione del corpo femminile, condito in tutte le salse e per vendere qualsiasi prodotto; il dilagare della violenza di ogni tipo sui minori; e in altro campo, mi riferisco all'insaziabile desiderio di accumulare benessere e potere, ben oltre la doverosa prudenza e previdenza per il futuro; lo scatenarsi della concorrenza e dell'arrivismo senza scrupoli nel mondo professionale e sociale; e in un altro campo ancora, mi riferisco al moltiplicarsi di forme vecchie e nuove di tossicodipendenza, di chiusura più o meno radicale nella ricerca del "sentirsi bene", nel totale disinteresse (spesso provocato da cocenti delusioni dopo mal educati entusiasmi giovanili) per il piccolo ma reale apporto che si sarebbe potuto offrire alla soluzione dei grandi problemi dell'umanità.

Per intercessione di S. Giulia

Mi scuso per la natura necessariamente allusiva e sommaria di queste parole. Esse volevano solo invitare a gettare uno sguardo - appena al di là della superficie - su quello che può succedere, e di fatto succede, in una umanità che abbia smarrito la forza del martirio e la capacità di mettersi in gioco di fronte alla proposta di senso e di valore che nasce dal Vangelo di Gesù.
L'amore per Lui, coerente e fedele fino alla morte, che ci è testimoniato da S. Giulia e dalla innumerevole schiera dei martiri di ieri e di oggi, è la via sulla quale contribuire, da cristiani, all'edificazione di un mondo più vero e più umano. E qui dove il discorso necessariamente finisce, esso dovrebbe iniziare: ma tutto non si può dire nell'arco di un'omelia.
L'intercessione di S. Giulia ci ottenga tre grazie:
Quella di capire che l'ignoranza non si vince solo con la moltiplicazione delle conoscenze strumentali e scientifiche, sul "come si fa" (che pure hanno un loro valore); ma si vince con il paziente scavo dell'intelligenza, messa in connessione con la fede, che cerca il perché, il senso delle cose, la sapienza che libera.
Quella di capire che l'ansia non si vince con infinite sedute dallo psicanalista, con gli esercizi di respirazione o con le cure termali o farmaceutiche (che pure hanno tutte un loro ruolo); ma con l'esercizio di una speranza che non delude perché basata sull'amore nella sua qualità divina, che è stato versato nel nostro cuore attraverso il dono dello Spirito santo di Dio che ci è stato dato.
E infine, chiediamo una terza grazia: quella di capire che il dominio incontrastato dell'insaziabile istintività non si vince moltiplicando le soddisfazioni o le esperienze (anche quelle positive e sanamente piacevoli); ma solo attraverso l'orientamento radicale della nostra forza, del nostro slancio vitale, verso quel dono di noi stessi per amore di ciò che amiamo, di coloro che amiamo, come ci ha insegnato Gesù. Quel dono che leggiamo ogni giorno nella figura del Crocifisso, e anche della nostra piccola Santa crocifissa; quel dono che tracciamo sul nostro corpo, facendo il segno della croce, ogni volta che iniziamo a pregare; quel dono che mangiamo e beviamo nel Corpo e Sangue del nostro Signore Gesù, ogni volta che facciamo Eucarestia. Quel dono incondizionato di sé di cui il martirio di S. Giulia è, fin dagli albori della preistoria di questa nostra amata "città", segno inconfondibile e proposta d'imitazione. Santa Giulia, intercedi per noi.

Amen

+ Diego, Vescovo



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