Santa Giulia Omelia della Festa di SANTA GIULIA Patrona di Livorno 2005
tenuta in Cattedrale da S.E. Rev.ma Mons. DIEGO COLETTI, Vescovo di Livorno
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OMELIA ALLA FESTA DI SANTA GIULIA
Patrona di Livorno, 22 maggio 2005

IL CORAGGIO DI ESSERE DIVERSI

Molti secoli fa, il potere imperiale di Roma, si è abbattuto sulla giovane vita di Giulia, e l'ha stroncata senza pietà.
La prima lettura di questa messa ci ha ricordato però che il caso di Giulia non è un caso isolato. Una moltitudine incalcolabile di uomini e donne, attraverso la storia, ha reso candida la veste della propria vita immergendola nel sangue dell'Agnello. Questi sono quelli che sono passati attraverso la grande tribolazione. Insieme alla nostra santa Patrona, innumerevoli altre vittime del potere, alcune delle quali chiamiamo martiri, hanno dovuto soccombere e ancora ai nostri tempi e senza soluzione di continuità restano schiacciati, innocenti testimoni di quanto sia vasta e profonda la cattiveria umana.
Gesù l'aveva predetto ai suoi. Aveva detto loro: "Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe, comparirete davanti a governatori e re a causa mia, sarete odiati da tutti a causa del mio nome". Ma questa è stata la stessa vicenda di Gesù, modello di ogni martirio, di fronte al potere del sinedrio e di fronte al potere imperiale del procuratore romano.

In questi giorni di preparazione alla sua solennità, la figura di santa Giulia mi è tornata in mente più volte. Ho cercato di immaginarmi la sua vicenda personale, le sue sofferenze e il suo coraggio, la forza con la quale ha deciso di rischiare la vita pur di non tradire la fede. Lo sguardo però si è allargato dalla considerazione del suo caso personale ad una riflessione più vasta sul fenomeno generale del martirio dei cristiani. Mi è sembrato che santa Giulia mi invitasse a riflettere non soltanto sulla sua testimonianza personale ma sul dramma più ampio e vasto che ha coinvolto migliaia e migliaia di vite umane, che chiamiamo il fenomeno del martirio nei primi secoli della vita della Chiesa.

Ho cercato quindi di riflettere non solo alla vicenda personale di santa Giulia ma a questa straordinaria vicenda che ha occupato, alternando momenti di pausa e momenti di recrudescenza, più di due secoli e ha coinvolto la vita di moltissime persone che si sono trovate in una situazione di pesante e impietosa persecuzione da parte dell'impero romano.

Nella seconda lettura della Messa della solennità di santa Giulia (1Pt 4,12-16) l'apostolo Pietro ci ha invitato a non essere sorpresi per "l'incendio di persecuzione" che si è acceso in mezzo a noi.
Eppure questa sorpresa è presente nel nostro cuore se pensiamo che l'impero romano è passato alla storia come un regime capace di tolleranza e di rispetto per tutti, come promotore di un sistema di governo che si valeva di una legislazione che ancora oggi fa testo in molti rapporti giuridici, e che Roma aveva esportato in gran parte del mondo allora conosciuto, offrendo ai popoli un'organizzazione statale e commerciale quasi perfetta. L'impero romano era portatore anche di un'altissima sintesi culturale, artistica, letteraria e poetica che la civiltà greco-romana aveva elaborato nei secoli.

Com'è possibile - ci domandiamo - che queste caratteristiche di un impero illuminato e fonte di progresso per tutti i popoli siano diventate motivo di uno scontro frontale con alcune piccole comunità, per quanto in espansione, che l'impero stesso poteva considerare con tollerante sufficienza come una setta ereticale del popolo dei Giudei sparso nella diaspora? Come possiamo interpretare questa "allergia", questa sorta di rigetto che l'autorità dell'impero romano avvertì nei confronti del nascente cristianesimo?

Forse comprendiamo la parola di san Pietro "Non siate sorpresi per l'incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi…" se riflettiamo su alcuni elementi della civiltà romana del tempo che si sono progressivamente sviluppati in negativo fino a condurre lo stesso impero al collasso e alla definitiva sconfitta.

1. Le città imperiali e prima di tutte Roma, ma anche Cartagine, dove probabilmente Giulia fu martirizzata, quelle città che davano già per nascita ai loro abitanti la dignità di sentirsi a pieno titolo cittadini dell'impero, erano state in passato luoghi di incontro, di cultura, di lavoro, di esercizio di virtù civiche e morali, di condivisione. Ma le cosa erano profondamente cambiate: l'essere cittadino romano era diventato motivo sufficiente per disprezzare ogni "extracomunitario" ed escluderlo dalla partecipazione e dai benefici della dignità imperiale. Le città stesse stavano diventando in quegli anni soprattutto luoghi di consumismo sfrenato e parassitismo dove venivano costruite gigantesche strutture di divertimento e di consumo, venivano utilizzati beni superflui riservati a pochi super ricchi. I segni più evidenti lasciati dalla civiltà del tardo impero diventano spesso indici di una discriminazione e di un superlusso che hanno lasciato tracce ancora oggi impressionanti in costruzioni come il Colosseo, le grandi terme, il Circo Massimo e, altro esempio scelto a caso, come le grandi navi da divertimento, quasi come i moderni superyacht, che i romani utilizzavano nel lago di Nemi solo per ostentazione di potenza e per feste e baccanali "esclusivi" di ogni specie. La conseguenza più rilevante di questo spreco era che Roma aveva finito per non rappresentare più il governo illuminato del mondo e la custode della pace, ma era diventata elemento di sfruttamento e oppressione nei confronti di popoli interi sempre più poveri e sempre più assediati dalle tasse e dal debito nei confronti dell'impero. In queste città le figure di riferimento non erano più i sapienti, né i governanti saggi ed equi, né i grandi filosofi. Gli eroi del giorno erano diventati i gladiatori che portavano la squadra del cuore in serie A.

Quale rapporto poteva esserci tra questo mondo ed il gruppo di discepoli di Colui che aveva proclamato che tutti erano figli di un unico Dio, tutti fratelli, tutti da accudire e da servire a partire dai più poveri, e che a nulla valeva guadagnare il mondo intero se poi si perdeva il senso della dignità e della bellezza di una vita fraterna e solidale?

2. L'impero romano si era ormai abituato a risolvere le tensioni ed i conflitti sempre meno attraverso la sapienza delle leggi, quasi un nascente tentativo di diritto internazionale, l'autorevolezza fondata sopra il buon governo e la capacità di richiamare a valori alti di cultura e di umanità; e sempre più attraverso la repressione militare, la guerra e l'uso della violenza e della forza.

Quale sintonia ci poteva essere tra questo impero ed il cristianesimo, fondato da un uomo che aveva detto: "riponi la spada nel fodero perché chi aggredisce di spada di spada morirà"; e aveva proclamato "beati" non i vincitori, ma i costruttori di pace?

3. Al consumismo e al lusso sfrenato delle città imperiali si era poi accompagnata inevitabilmente una dilagante corruzione politica. Il Senato di Roma, che era stata una delle più prestigiose e qualificate esperienze di dibattito politico e di partecipazione alla cura della "res publica" era ormai diventato una farsa, abitato sempre meno da saggi e forti uomini di pensiero, di dialogo e di alta cultura e sempre più da buffoni, arrivisti, da gente rozza e litigiosa, da clienti venduti al più forte di turno. La stessa figura dell'imperatore, salvo qualche eccezione, nel periodo del tardo impero era rivestita da personaggi sempre più meschini, a volte folli, spesso attaccati al proprio potere personale.

Cosa potevano pensare queste autorità dei discepoli di Colui che aveva detto che se "i potenti di questo mondo esercitano il potere e dominano sugli altri" per loro non avrebbe dovuto essere così? Anzi, chi assumeva delle responsabilità sarebbe stato ultimo di tutti e servo di tutti, perché, come il loro Maestro, anche i discepoli, dovevano dire: non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita per la liberazione delle moltitudini?

4. L'impero romano, che era nato e cresciuto su esempi bellissimi di dedizione fino alla morte per amore patrio, di costumi severi e generosi nel bene, si era progressivamente lasciato corrompere dalla fragilità delle relazioni interpersonali serie ed impegnative, a partire dalla crisi del matrimonio e dalla famiglia, con il conseguente crollo demografico, lo sbandamento sessuale in tutte le direzioni, il disorientamento educativo, il degrado della condizione giovanile, la corruzione dei costumi, l'allentamento della tensione morale, fino alla piena giustificazione, in termini di progresso, dell'eliminazione fisica dei deboli, dei senza voce e dei senza diritti: dalla scandalosa situazione degli schiavi, alla diffusione dell'aborto, alla "esposizione" ed eliminazione fisica dei neonati imperfetti.

Tutto questo non poteva che essere alternativo all'insegnamento di un maestro che aveva parlato di matrimonio indissolubile, di amicizia fedele fino alla morte, di intransigente servizio alla vita di tutti, di coraggio nel tagliarsi perfino una mano, nel cavarsi un occhio, quando questi fossero d'impedimento e di scandalo alla fedeltà e alla coerenza con la parola data.

5. E ancora: lo stile di cittadinanza del tardo impero era passato da una apertura saggia al dialogo, nel rispetto delle differenze e nella generosa accoglienza delle diversità, ad una cultura di sincretismo religioso, di indifferenza totale, di smarrimento di ogni certezza. Per cui il cittadino romano non aveva più alcuna fede, non aveva più alcuna identità religiosa e culturale ed era sempre più incline a rinnegare, a dimenticare, a mettere tra parentesi le proprie radici storiche.

Le piccole nascenti comunità di discepoli di Gesù Cristo proponevano invece una fede coraggiosa e assoluta: aperta a tutti e dialogante con tutti proprio perché forte, convinta, argomentata e precisa nelle proprie convinzioni.

Quanto ho cercato qui di esemplificare costituiva nel suo insieme un'atmosfera di tensione, di contrapposizione sempre più forte tra la cultura dell'impero e la testimonianza dei cristiani. Come se l'atmosfera fosse intrisa da una pericolosa miscela esplosiva.
Quale scintilla fece scoppiare l'incendio?
Il giorno in cui l'impero cominciò a dire a tutti: o si accetta questo sistema oppure si viene sterminati ed esclusi dalla convivenza sociale, in quello stesso momento il martire fu chiamato a costruire un'alternativa, a prendere coraggiosamente la distanza da questa situazione degradante, pronto a costituire un'alternativa per il giorno in cui sarebbe avvenuto il collasso ed il disastro definitivo.
Santa Giulia e tutti gli innumerevoli suoi fratelli e sorelle martiri non hanno avuto paura di essere diversi, non si sono vergognati di prendere le distanze da un mondo in decadenza e in via di corruzione. Non hanno avuto paura di mettere a rischio la loro vita se questo poteva essere utile, ed era nelle circostanze concrete necessario e inevitabile, per non tradire la verità e per lasciare un segno di coerenza e di riscatto dalla vanità e dalla menzogna che assediavano l'umanità.
E quando l'impero romano è crollato, molto più per la sua debolezza interna che per la forza dei suoi nemici, il cristianesimo dei martiri si è assunto il compito di rifondare una cultura di libertà, di verità, di umanità e di pace, ricca di valori e finalmente riaperta al futuro.
I martiri hanno tenuto acceso con il loro sangue il fuoco della speranza e della vera ed integrale liberazione dell'uomo.

Amen

+ Diego, Vescovo



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